
Dr. Stefano Lai
Urologo​
Carcinoma a cellule renali
aggiornato 29/01/2023
Epidemiologia
Il carcinoma a cellule renali (RCC) rappresenta circa il 3% di tutti i tumori. È la più comune lesione solida del rene e rappresenta il 90% di tutti i tumori che interessano quest’organo. Esistono diversi sottotipi di RCC che si caratterizzano per mutazioni genetiche più o meno specifiche. Il rapporto maschi femmine per il RCC è 1.5:1.
Eziologia
Tra i fattori di rischio del RCC ritroviamo l’obesità (un body mass Index superiore ai 35 contro un body mass Index inferiore a 25) l’ipertensione arteriosa e il fumo di sigaretta (circa il 50% dei pazienti con RCC sono fumatori, il 61,9% dei pazienti con tumore della midollare e carcinoma dei dotti collettori sono fumatori). Altri fattori di rischio sono il diabete, avere parenti di primo grado con RCC. Il consumo di alcolici invece sembra avere un effetto protettivo nei confronti del RCC, per motivi che non sono notti, l’attività fisica ugualmente conferisce una certa protezione dal RCC. La miglior profilassi per il RCC risulta eliminare il fumo di sigaretta, fare attività fisica e ridurre peso.
Diagnosi istologica
Il RCC comprende un ampio spettro di entità istologiche. Ci sono tre tipi principali di carcinoma a cellule renali: il carcinoma a cellule chiare, il carcinoma papillare (di tipo I e di tipo II) e il carcinoma cromofobo. Altre entità sono il carcinoma dei dotti collettori, e altre varianti istologiche rare. Per molto tempo il grado di malignità di questi tumori avveniva mediante il grado di Fuhrman, questo oggi viene sostituito dalla classificazione WHO/ISUP (International Society of Urological Pathology).
Carcinoma a cellule chiare
Il carcinoma a cellule chiare è un tumore ben circoscritto in cui non è presente una capsula ma una pseudocapsula. La sua superficie di taglio è di colore giallo oro con all’interno aree di emorragia e necrosi coagulativa. Le sue caratteristiche cromosomiche sono la perdita del braccio corto del cromosoma 3 e le mutazioni per il gene della von Hippel-Lindau situate sempre sul braccio corto del cromosoma tre (3P25). Quando vi è la presenza della mutazione del gene per la von Hippel-Lindau questo contribuisce alla iniziazione, progressione e metastasi della malattia. Il carcinoma a cellule chiare ha una prognosi peggiore rispetto ai sottotipi papillare e cromofobo ma le differenze scompaiono quando vi è un aggiustamento in base allo stadio clinico.
Carcinoma papillare
Il carcinoma papillare è il secondo tumore più frequente, viene suddiviso in due sottotipi: tipo I e tipo II. Il tipo II a sua volta rappresenta un gruppo eterogeneo la cui classificazione è ancora in evoluzione. Il carcinoma papillare di tipo I è caratterizzato da un aspetto radiologico simile alle cisti di Bosniak IIF e III (che vedremo di seguito) questo perché al suo interno vi possono essere delle aree di necrosi colliquativa, un aspetto serpiginoso, e poiché alla TC il mezzo di contrasto tende a rimanere dopo il wash-out. Il 75% di questi tumori possono essere trattati con una chirurgia conservativa. Quando viene fatta una biopsia di questi tumori, esiste un 12,5% di rischio di contaminazione del tramite della biopsia, questo a causa della fragilità delle papille del tumore. Il carcinoma a cellule papillari di tipo I è più comune rispetto al tipo II ed ha una migliore prognosi.
Carcinoma cromofobo
Il carcinoma cromofobo ha una prognosi fondamentalmente buona con una sopravvivenza libera da malattia del 94.3% a 5 anni e dell’89.2% a 10 anni. Recidiva e morte dopo chirurgia per il carcinoma cromofobo sono rare. La prognosi è eccellente soprattutto negli stadi pari o inferiore al T2a, senza necrosi coagulativa e senza caratteristiche istologiche di tipo sarcomatoide.
Altri tumori renali
Sono rappresentati da tumori rari, sporadici e familiari.
Carcinoma della midollare
Il carcinoma della midollare è un tumore molto raro che colpisce principalmente i giovani adulti (età media di insorgenza a 28 anni) con anemia falciforme, o portatori del trait per l’anemia falciforme. Il carcinoma della midollare è il più aggressivo dei RCC e la maggior parte dei pazienti si presentano già alla diagnosi metastatici (67%), anche pazienti che si presentano con una malattia apparentemente localizzata sviluppano dopo poche settimane metastasi a distanza.
Carcinoma associato con insufficienza renale terminale/malattia cistica acquisita
Una degenerazione cistica con la possibile comparsa di RCC è stata vista nei reni dei pazienti con insufficienza renale terminale. Il RCC colpisce il 4% dei reni nativi in pazienti sottoposti a trapianto. Il rischio di sviluppare un carcinoma a cellule renale e 10 volte più alto in questi pazienti che nel resto della popolazione. Paragonando il RCC di questi pazienti con quello della popolazione generale questo in genere è multicentrico, bilaterale, colpisce i pazienti più giovani ed è meno aggressivo. Dal punto di vista istologico il RCC che colpisce i pazienti con insufficienza renale terminale è simile a quello sporadico con una frequenza maggiore di forme papillari.
Tumori ereditari del rene
Il 5-8% di tutti i RCC sono ereditari. Finora sono note 10 sindromi ereditarie di RCC associate a specifiche mutazioni genetiche, a specifici tipi istologici ed a specifiche comorbilità. La presenza di una sindrome ereditaria è spesso sospettata dalla storia familiare, dalla età di insorgenza e da altre lesioni tipiche di quella sindrome. L’età media di insorgenza del RCC nelle sindromi ereditarie è 37 anni. Tra le forme ereditarie di RCC ricordiamo la sindrome di Von Hippel-Lindau e la Sclerosi Tuberosa. Anche il carcinoma della midollare può essere incluso in questa famiglia poiché associato con emoglobinopatie ereditarie. I pazienti con sindromi ereditarie di tumore del rene possono richiedere interventi chirurgici ripetuti, pertanto una chirurgia conservativa e spesso raccomandata. In alcune sindromi ereditarie è raccomandata l’aggressione chirurgica precoce delle lesioni, data la loro tendenza a metastatizzare (hereditary leiomyomatois and RCC; germline succinate dehydrogenase mutation) mentre per altre sindromi come per la VHL il monitoraggio delle lesioni è consigliata intervenendo con la chirurgia soltanto quando le lesioni hanno 3 cm di diametro. In alcuni casi è meglio tuttavia basarsi sulla cinetica di crescita della lesione, sulle dimensioni della stessa e sulla sua localizzazione piuttosto che sulla dimensione di 3 cm per decidere di intervenire. Un controllo periodico, sia delle lesioni renali sia delle lesioni extra renali, dovrebbe seguire quelle che sono delle linee guida internazionali per queste sindromi. La discussione dei casi dovrebbe avvenire in contesti multidisciplinari.
Angiomiolipoma
L’angiomiolipoma (AML) è un tumore mesenchimale benigno che può anche comparire sporadicamente all’interno della Sclerosi Tuberosa. L’AML appartiene alla famiglia dei cosiddetti tumori perivascolari a cellule epitelioidi (PEComas > perivascular epithelioid cell tumours) caratterizzati dalla proliferazione di cellule epiteliali peri vascolari. Alcune forme di questi tumori possono essere aggressive e dare metastasi a distanza. Il classico AML puro è invece una malattia assolutamente benigna. L’ecografia, la TAC e la Risonanza Magnetica sono spesso sufficienti per definire la diagnosi di AML, grazie alla percentuale di tessuto adiposo presente nella lesione. Tuttavia, quando vi sono degli AML con scarso tessuto adiposo la diagnosi può essere difficile. L’utilizzo della biopsia percutanea raramente è risolutivo. Nella Sclerosi Tuberosa l’AML può interessare i linfonodi renali determinando il loro ingrossamento che tuttavia non rappresenta metastasi ma la diffusione della malattia a livello di questi. In rari casi l’AML può presentarsi come un trombo non maligno che si estende all’interno della vena renale e a livello della vena cava inferiore. L’AML epitelioide è una variante rara dell’AML, è costituito per l80% da cellule epitelioidi. L’AML epitelioide è potenzialmente maligno e può dare anche metastasi a distanza. In alcuni casi l’AML può essere causa di dolore anche se la sua maggior complicanza è il sanguinamento spontaneo nel retro-peritoneo o all’interno del sistema collettore (quest’ultima evenienza può essere molto pericolosa). Il sanguinamento può essere causato dalla rottura spontanea dell’AML. Non è ben conosciuto il meccanismo con il quale può avvenire la rottura dell’AML. La dimensione del tumore sicuramente si collega con un maggior rischio di rottura ma anche la componente vascolare e la formazione di vasi irregolari può essere un elemento importante. I fattori di rischio maggiori per il sanguinamento sono le dimensioni, il grado di neoangiogenesi del tumore è l’associazione alla Sclerosi Tuberosa. La sorveglianza attiva è l’opzione maggiormente consigliata nell’AML. In un gruppo di pazienti osservati per AML soltanto 11% ha mostrato una crescita della lesione, il 2% ha mostrato sanguinamento spontaneo risultando in un 5% di trattamenti attivi. L’associazione tra dimensione e rischio di sanguinamento non è chiara; pertanto, l’utilizzo di 4 cm come limite oltre il quale procedere con il trattamento chirurgico non deve essere considerato come indicazione assoluta. Quando vi è l’indicazione al trattamento, una chirurgia conservativa è l’opzione preferita. L’embolizzazione selettiva dell’AML ha come problematica il fatto che spesso bisogna intervenire con un secondo trattamento quale la chirurgia, questo discorso vale anche per la termo ablazione (per tale metodica sono disponibili meno dati). Il trattamento attivo quale chirurgia, l’embolizzazione o la termo ablazione devono essere eseguiti in caso di dolore persistente, rottura o presenza di grossi AML. In alcuni pazienti si può scegliere di trattare l’AML a causa dell’alto rischio di traumi addominali e di rottura; pertanto, nelle donne in periodo fertile (perché la gravidanza può essere un rischio per la rottura dell’AML) o in pazienti per i quali il follow-up o l’accesso a servizi di emergenza è difficile. L’embolizzazione selettiva è un’opzione in caso di sanguinamento attivo che può mettere a rischio la vita del paziente. Nei pazienti con AML e Sclerosi Tuberosa una riduzione delle dimensioni dell’AML può essere ottenuta mediante l’utilizzo degli inibitori della mTOR quali l’everolimus.
Oncocitoma renale
L’oncocitoma è un tumore benigno, rappresenta dal 3 al 7% di tutte le lesioni solide del rene, questa percentuale arriva al 18% quando vengono considerate lesioni inferiori alle 4 cm. Le capacità della Risonanza Magnetica e della TAC di diagnosticare l’oncocitoma sono limitate. Tuttavia, ci sono delle nuove tecniche radiologiche che hanno mostrato dei risultati promettenti (Tc-99m SestaMIBI SPECT/TC). Il trattamento chirurgico standard dell’oncocitoma è la chirurgia con nefrectomia parziale o radicale, al fine di disporre di un esame istologico. L’incapacità delle tecniche radiologiche di diagnosticare l’oncocitoma ha portato ad una maggiore interesse per la biopsia renale. In queste lesioni l’accuratezza delle biopsie, tuttavia, non è molto elevata essendoci una correlazione tra diagnosi istologica alla biopsia e diagnosi istologica sul pezzo operatorio del 64,6%, nel 18.7% invece è stato ritrovato un RCC variante cromofoba, nel 12.5% altre forme di RCC, nel 4.2% altre lesioni benigne. L’oncocitoma tende a crescere con una media annua di 14 mm.
Tumori renali cistici
Le lesioni cistiche del rene vengono classificate secondo la classificazione Bosniak. Le cisti di Bosniak I e II sono lesioni benigne che non richiedono follow-up. Le Bosniak IV sono nella maggior parte dei casi (83%) maligne. Le Bosniak IIF e III sono invece difficili da definire come maligne o benigne. Oltre all’utilizzo della TAC con contrasto, in queste lesioni risulta molto utile l’utilizzo della Risonanza Magnetica e l’utilizzo della ecografia con contrasto (CEUS). La chirurgia nelle cisti di Bosniak III risulta in un over-treatment nel 49% dei casi (si trovano lesioni con bassa malignità). Pertanto, la sorveglianza delle cisti di Bosniak III è una valida alternativa al trattamento chirurgico.
Classificazione e Stadiazione
Stadiazione
Viene raccomandata la classificazione TNM dove T rappresenta l’estensione locale della malattia, N il coinvolgimento linfonodale e M la diffusione metastatica.
T-ESTENSIONE LOCALE
TX il tumore primitivo non può essere valutato
T0 il tumore primitivo non è evidente
T1 tumore ≦ 7 cm limitato al rene
T1a tumore ≦ 4 cm
T1b tumore > 4 cm ma ≦ 7 cm
T2 tumore > 7 cm limitato al rene
T2a tumore > 7 cm m ≦ 10 CM
T2b tumore > 10 cm
T3 il tumore si estende all’interno delle vene principali o invade il tessuto perirenale ma
non la ghiandola surrenale e non supera la fascia del Gerota
T3a il tumore invade la vena renale o i suoi rami o il sistema calico-pielico o il
grasso perirenale/seno renale, ma non supera la fascia del Gerota
T3b Il tumore si estende nella vena cava sotto il diaframma
T3b il tumore si estende nella vena cava sopra il diaframma o invade la parete della
vena cava
T4 il tumore si estende oltre la fascia del Gerota (compresa l’invasione della ghiandola
Surrenale)
N- linfonodi regionali
NX i linfonodi regionali non possono essere valutati
N0 i linfonodi regionali non sono interessati
N1 metastasi ai linfonodi regionali
M-METASTASI A DISTANZA
M0 assenza di metastasi a distanza
M1 metastasi a distanza
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Raggruppamento per pTNM
Stadio I: T1; N0; M0
Stadio II: T2; N0; M0
Stadio III: T3; N0; M0
T1,T2,T3; N1; M0
Stadio IV: T4 qualsiasi N; M0
qualsiasi T; qualsiasi N; M1
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Restano aperti alcuni punti oscuri nella classificazione TNM:
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L’utilizzo dei 4 cm per definire il T1a (cut-off per la chirurgia conservativa) è oggetto di discussione
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viene criticata l’utilità del limite dei 7 cm per definire lo stadio T2
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l’invasione del grasso a livello del seno renale potrebbe avere una prognosi peggiore dell’invasione del grasso perirenale, entrambi sono tuttavia classificati come pT3a
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gli stadi pT2b, pT3a, pT3c e pT4 possono sovrapporsi come significato clinico
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per definire lo stadio M è necessario l’utilizzo di adeguati metodi di imaging (TC del torace e dell’addome)
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Sistemi di classificazione anatomica
Alcuni sistemi di classificazione anatomica sono stati preposti per standardizzare la descrizione dei tumori renali. Tra i più importanti ricordiamo il Padua Score e il R.E.N.A.L. score. Questi sistemi prendono in considerazione le dimensioni del tumore, la localizzazione esofitica o endofitica, la prossimità al sistema collettore, la prossimità all’ilo renale, la localizzazione della lesione sul labro anteriore o posteriore, sul polo superiore o sul polo inferiore. Questi sistemi vengono utilizzati per oggettivare le lesioni renali e poter meglio definire i potenziali effetti collaterali dopo l’intervento di una chirurgia conservativa. Questi sistemi possono inoltre essere utili nella pianificazione dell’intervento, nel counseling con il paziente, e nel confrontare gli esiti degli interventi eseguiti in diversi istituti.
Valutazione diagnostica
Sintomi
La maggior parte degli RCC viene diagnosticata incidentalmente attraverso accertamenti di imaging non invasivi avviati per sintomi non specifici o per una sintomatologia addominale aspecifica. Circa il 60% degli RCC viene diagnosticato in maniera incidentale, di questi l’87% sono pazienti in stadio cT1a (tumoti fino a 4 cm di diametro) e il 36% sono pazienti in stadio III o IV. La classica triade dolore al fianco, macroematuria, massa palpabile si riscontra nel 6-10% dei casi e si correla con una istologia aggressiva, con una malattia avanzata, e con una cattiva prognosi. Sindromi paraneoplastiche sono presenti nel 30% circa dei pazienti sintomatici per RCC. Alcuni pazienti sintomatici possono presentare sintomi da metastasi (ossee o polmonari) quali dolori ossei o tosse.
Esame obiettivo
L’esame obiettivo ha scarsa importanza nel RCC. Tuttavia i seguenti riscontri devono far partire ulteriori accertamenti:
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Masse addominali palpabili
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Linfonodi laterocervicali palpabili
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Varicocele non riducibile soprattutto a destra, edemi agli arti inferiori bilaterali, possono suggerire l’interessamento della vena cava da parte di un trombo neoplastico.
Esami di laboratorio
Normalmente i parametri di laboratorio ricercati sono: creatinina sierica, velocità di filtrazione glomerulare, emocromo, VES, funzionalità epatica, fosfatasi alcalina, LDH, calcemia, studio della coagulazione, esame urine. Per le lesioni centro-renali che protrudono all’interno della via escretrice bisognerà ulteriormente studiare il paziente con citologie urinarie e se necessario procedere con una valutazione endoscopica per escludere un tumore uroteliale. L’uso della scintigrafia renale per studiare la funzione separata dei due reni è indicato nei seguenti casi:
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Quando la funzionalità renale è compromessa, questo messo in evidenza o da un aumento della creatinina sierica, o da un decremento della velocità di filtrazione glomerulare.
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Nei pazienti con tumore in rene singolo oppure in pazienti con tumori multipli bilaterali.
Diagnostica per immagini
Le masse renali sono classificate come solide o cistiche in base al loro aspetto radiologico. L’elemento più importante per differenziare una lesione maligna da una benigna è la presenza dell’enhancement del mezzo di contrasto.
TC e Risonanza Magnetica
La TC o la Risonanza Magnetica sono utilizzate per caratterizzare le masse renali. È necessario ottenere una fase in bianco senza contrasto, una fase arteriosa precoce, una fase parenchimatosa, una fase venosa, e una fase tardiva con escrezione del mezzo di contrasto nella via urinaria. Come detto precedentemente l’enhancement è l’elemento più importante per comprendere se la massa renale sia benigna o maligna, un aumento di 15 unità Hounsfield rispetto alla TC in bianco è indicativa della presenza di una lesione maligna. Sia la TC che la Risonanza Magnetica possono permettere un’accurata diagnosi di un RCC ma non possono, in maniera accurata, distinguere un oncocitoma o un angiomiolipoma con scarsa componente grassa da lesioni maligne. La TC addome fornisce le seguenti informazioni:
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funzione e morfologia del rene controlaterale
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estensione del tumore primitivo
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coinvolgimento venoso
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presenza e localizzazione di linfoadenomegalie
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condizione della ghiandola surrenale e degli altri organi addominali.
Se i risultati con la TC non sono determinanti può essere utilizzata la CEUS come alternativa per caratterizzare le lesioni renali. La Risonanza Magnetica è una indagine molto utile per avere migliori indicazioni sull’interessamento delle strutture venose come la vena renale e la vena cava inferiore. Inoltre, la Risonanza Magnetica è particolarmente indicata nei pazienti che sono allergici al mezzo di contrasto iodato utilizzato per la TC o nelle donne in gravidanza che non presentano insufficienza renale. L’utilizzo della Risonanza Magnetica multiparametrica viene sfruttata per ottenere quello che è un punteggio sulla probabilità che la lesione riscontrata sia un RCC a cellule chiare, il cosiddetto ccLS (clear cell likelihood score) per masse di piccole dimensioni. Il ccLS è una classificazione che fornisce la probabilità che una lesione sia un tumore a cellule chiare classificandolo come “molto improbabile” o “molto probabile”. Nella diagnosi dele cisti complesse di tipo Bosniak IIF e III molto utile risulta l’utilizzo della Risonanza Magnetica Nucleare e della CEUS. La Risonanza Magnetica può essere anche utilizzata in pazienti giovani che sono preoccupati per l’esposizione alle radiazioni ionizzanti.
Altre indagini
La PET non viene raccomandata nello studio del RCC.
Indagini volte a diagnosticare la malattia metastatica
La TC del torace è molto accurata per diagnosticare metastasi a livello polmonare tuttavia essa può essere omessa negli stadi clinici cT1a (lesioni localizzate al rene fino a 4 cm) cN0, senza la presenza di sintomi, senza la presenza di anemia e senza la presenza di trombocitopenia, questo a causa della bassa probabilità di un interessamento polmonare (<1%). La presenza di metastasi ossee e fondamentalmente sintomatica, pertanto, l’utilizzo routinario della scintigrafia ossea non è indicata. La ricerca di metastasi ossee è indicata in presenza di sintomi o di alterazioni negli esami di laboratorio (presenza di dolori ossei, aumento della fosfatasi alcalina, aumento della calcemia). L’utilizzo della Risonanza Magnetica whole-body riesce a individuare un maggior numero di metastasi ossee quando viene paragonata alla tradizionale TC toraco-addominale. Anche la presenza di metastasi cerebrale si associa alla comparsa di sintomi, pertanto, l’utilizzo di indagini quali la TC cerebrale o la Risonanza Magnetica vengono riservate alla presenza di sintomi.
Classificazione Bosniak delle cisti renali
Questa classificazione raggruppa le cisti renali in 5 categorie in base all’aspetto ottenuto alla TC e alla Risonanza Magnetica.
Categoria I, benigne: cisti caratterizzate da parete sottile, regolare, senza setti, contenuto interno acquoso, assenza di contrast enhancement
Categoria II, benigne: simili alle precedenti, possono contenere sottili setti interni
Categoria IIF, alcune sono maligne, necessitano di follow-up
Categoria III, circa il 50% sono maligne, indicata la chirurgia o la sorveglianza attiva
Categoria IV, sono maligne e vanno trattate chirurgicamente: contengono all’interno tessuto solido che prende contrasto
Biopsia delle masse renali
Indicazione e razionale
L’uso delle biopsie percutanee delle lesioni renali puoi aiutare a comprendere l’istologia di masse che alla radiologia non è facile classificare. Essa viene utilizzata:
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nei pazienti candidati a sorveglianza attiva per piccole masse
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per ottenere l’istologia prima di un trattamento ablativo focale
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per scegliere la miglior terapia oncologica in pazienti metastatici.
In uno studio multicentrico è stato dimostrato come i centri che routinariamente utilizzano la biopsia renale asportano chirurgicamente una quantità di lesioni benigne inferiori rispetto ai centri che non eseguono le biopsie renali (5% versus 16%). La biopsia renale non è indicata in quei pazienti fragili e con importanti comorbilità in cui è controindicato un trattamento attivo e quindi sono candidati a vigile attesa. Le biopsie sulle lesioni cistiche non hanno un reale significato diagnostico e non sono raccomandate, tranne nel caso in cui non vi siano delle aree solide come ad esempio nelle cisti di Bosniak IV. L’utilizzo di biopsie percutanee per una caratterizzazione istologica di masse retroperitoneali riscontrate alla radiologia può essere utile per prendere decisioni cliniche soprattutto nella popolazione giovanile.
Tecnica
La biopsia delle masse renali può essere eseguita con due tecniche: o una biopsia vera e propria o mediante un agoapirato. La biopsia renale può essere eseguita o sotto guida ecografica o sotto guida TC, utilizzando un ago di 18 gauge, con tecnica coassiale alla fine di ridurre al minimo i rischi di disseminazione. La biopsia vera e propria ovviamente ha una maggiore accuratezza rispetto all’agoaspirato.
Accuratezza
In centri esperti la sensibilità e la specificità delle biopsie prostatiche sono elevate; tuttavia, dallo 0 - 22% delle biopsie non sono diagnostiche (media 8%). Il tasso di concordanza tra biopsia e istologico sul pezzo definitivo è di circa il 90%. L’esatto numero e sede delle biopsie non è nota, le aree di necrosi devono essere evitate mentre devono essere preferite le biopsie periferiche proprio per evitare le aree di necrosi centrale. Soprattutto negli stadi clinici cT2 o superiori devono essere prese multiple biopsie da almeno quattro zone separate che presentino un aspetto solido con aree di marcato enhancement, allo scopo di poter raccogliere il più alto numero di informazioni possibili, soprattutto riguardanti l’eventuale presenza di una componente sarcomatoide, questo senza incrementare i tassi di complicanze.
Complicanze
Le complicanze sono basse e il rischio di disseminazione tumorale è limitato, esso è soprattutto possibile nei tumori di tipo papillare. Gli ematomi subcapsulari e perirenali sono riportati nel 4,3% dei casi di cui soltanto lo 0,7% sono significativi, comunque in genere sempre autolimitanti. La biopsia percutanea su masse ilari è tecnicamente fattibile con dei risultati simili a quelli delle masse corticali ma con un più alto tasso di sanguinamenti.
Valutazione genetica
Le forme ereditarie di tumore del rene sono riportate nel 5 - 8% dei casi, sebbene questo numero sia sottostimato poiché mutazioni nelle cellule germinali sono ritrovate fino al 38% di pazienti con RCC metastatico. Un’età di insorgenza del tumore del rene di 46 anni o inferiore dovrebbe portarci a considerare un counselling genetico e avviare dei test genetici per la ricerca di mutazioni delle cellule germinali. Inoltre, la presenza di tumori bilaterali, multifocali, la presenza di parenti di primo o secondo grado con RCC aumenta il rischio di avere un tumore nel rene all’interno di una sindrome ereditaria. Nei pazienti con angiomiolipoma dovrebbe essere ricercata la presenza di manifestazioni cliniche tipiche della Sclerosi Tuberosa.
Fattori prognostici
Fattori anatomici
Dimensioni del tumore, invasione venosa, invasione della via escretrice, invasione del grasso peri renale o del grasso del seno renale, invasione della ghiandola surrenale, invasione dei linfonodi locoregionali, presenza di metastasi a distanza. Sono tutti dati presenti nella classificazione TNM.
Fattori istologici
I fattori istologici includono il grado tumorale, il sottotipo di RCC, l’invasione linfo-vascolare, la presenza di necrosi tumorale, l’invasione dei dotti collettori. Il grado istologico è considerato uno dei più importanti fattori prognostici. In passato veniva utilizzato il grado di Fuhrman che oggi non viene più utilizzato. Attualmente si usa la classificazione WHO/ISUP che si è dimostrata provvedere maggiori informazioni rispetto al grado di Fuhrman soprattutto per i gradi 2 e 3. La presenza di caratteristiche sarcomatoidi e rabdomioidi può essere trovato in tutti i sottotipi di RCC, la loro presenza fa dare una classificazione di grado 4 al tumore. La trasformazione sarcomatoide viene più spesso trovata nel carcinoma a cellule cromofobe rispetto agli altri tipo di RCC. La presenza della variante sarcomatoide si associa ad una prognosi peggiore e a una minore sopravvivenza. La classificazione WHO/ISUP viene utilizzata sia nel carcinoma a cellule chiare, sia nel carcinoma papillare mentre non è applicabile nel carcinoma a cellule cromofobe. Nel carcinoma a cellule cromofobe viene utilizzata una classificazione divera che divide un “low grade” da un “high grade” quest’ultimo basato sulla presenza di cellule sarcomatoidi e sulla presenza di necrosi tumorale. Riguardo al sottotipo di RCC ricordiamo che la prognosi va peggiorando a partire dal carcinoma cromofobo, al carcinoma papillare ed è peggiore per il carcinoma a cellule chiare, queste differenze vengono perse quando vi è una stratificazione in accordo con lo stadio tumorale. Il carcinoma papillare sappiamo viene diviso in tipo I e in un tipo II, con il tipo II che mostra una prognosi peggiore. In tutti i tipi di RCC la prognosi peggiora con l’avanzare dello stadio clinico e del grado istopatologico. La sopravvivenza globale hai 5 anni per tutti i tipi di RC è del 49%, percentuale che è andata migliorando dal 2006 probabilmente grazie alla più precoce diagnosi della malattia e alle migliori terapie a disposizione. Nonostante non venga considerata nella classificazione TNM, si è visto che il numero di linfonodi regionali interessati da malattia è un’importante fattore prognostico di sopravvivenza in pazienti che non presentano altre sedi di metastasi.
Modelli prognostici
Esistono dei modelli prognostici sia per la malattia localizzata sia per la malattia metastatica che si sono dimostrati più precisi della classificazione del TNM nel definire gli outcomes oncologici. Per i pazienti metastatici esistono fondamentalmente due modelli prognostici il Memorial Sloan Kettering Cancer Center (MSKCC) e l’International Metastatic Renal Cancer Database Consortium (IMDC) entrambi prendono in considerazione una serie di parametri (Performance status del paziente, il tempo tra il trattamento del tumore e la comparsa di metastasi, livelli di emoglobia, livelli di calcemia, conta piastrinica) e in base allo Score ottenuto distinguono i pazienti con prognosi favorevole, prognosi intermedia e scarsa prognosi A questi modelli vengono addizionati inoltre la valutazione sulla presenza di metastasi a livello osseo e cerebrale.
Trattamento
Chirurgia conservativa (NP >nefrectomia parziale) versus nefrectomia radicale (NR) nelle forme localizzate
cT1
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Risultati oncologici
Non sono emerse differenze, in termini di sopravvivenza legata al tumore, tra pazienti trattati con NP e NR.
Sopravvivenza globale e funzionalità renale
Il 26% dei pazienti con nuova diagnosi di RCC presenta un VFG < 60 mL/min sebbene abbia creatininemia normale. La NP mostra minore impatto sulla funzionalità renale con conseguente migliore sopravvivenza globale (compresi anche minori rischi cardiovascolari). La NP è la chirurgia di scelta in caso di preesistente insufficienza renale.
Complicanze peri operatorie e qualità di vita
Nelle piccole masse la NP è una procedura sicura con impatto sulla qualità di vita sovrapponibile alla NR.
cT2
Nei pazienti trattati con NP si sono riscontrati bassi tassi di recidiva e ha una migliore mortalità cancro specifica. Tuttavia, in caso di NP è maggiore la probabilità di sanguinamento intraoperatorio. In uno studio recente, multicentrico, che paragonava tumori di dimensioni pari o superiori ai 7 cm con istologico a cellule chiare, si è visto come la NP si associava ad una maggiore sopravvivenza globale e una migliore sopravvivenza cancro specifico. Nei pazienti con neoformazioni cT2 i rischi e i benefici di una chirurgia conservativa dovrebbero essere discussi con il paziente. Tuttavia, quando tecnicamente eseguibile, una chirurgia conservativa dovrebbe essere sempre eseguita soprattutto in presenza di un rene solitario, in caso di lesioni bilaterali e insufficienza renale preesistente.
cT3
In una recente metanalisi che paragonava 1.278 pazienti sottoposti a NP versus 2.113 pazienti sottoposti al NR in pazienti con lesioni in stadio pT3a non si sono viste differenze in termini di sopravvivenza cancro specifica, sopravvivenza globale, mortalità cancro specifica, sopravvivenza libera da malattia, indicando che la NP dovrebbe essere utilizzata tutte le volte che sia tecnicamente eseguibile.
Procedure associate
Asportazione della ghiandola surrenale
La localizzazione del tumore al polo superiore del rene non è predittiva di un’invasione della ghiandola surrenale. Nessun vantaggio si è visto in termini di sopravvivenza globale a 10 e a 5 anni quando si è proceduto/non si è proceduto all’asportazione del surrene in caso di tumori nel polo superiore del rene. L’asportazione del surrene, pertanto, è giustificato soltanto quando vi sia una invasione radiologicamente documentata o una invasione documentata intraoperatoriamente.
Linfoadenectomia in caso di cN0
Meno del 20% dei linfonodi che preoperatoriamente risultano negativi (cN0), appaiono dopo la chirurgia interessati da metastasi (pN1). Sia la Risonanza Magnetica che la TC sono poco adatti per riuscire a determinare la presenza di malattia in linfonodi che presentano forma e dimensione regolare. In uno studio retrospettivo, l’utilizzo della linfadenectomia non si è associata ad una riduzione nella comparsa di metastasi a distanza, né nella riduzione della mortalità legata alla neoplasia, né nella riduzione della sopravvivenza globale. Tuttavia, un altro studio ha dimostrato come, quando linfonodi positivi sono stati ritrovati dopo la chirurgia, il numero dei linfonodi asportati si correlava con una migliore sopravvivenza cancro specifica. Inoltre, l’esecuzione di una linfadenectomia estesa è stata associata a una migliore sopravvivenza cancro specifica in pazienti con caratteristiche sfavorevoli quali presenza di differenziazione sarcomatoide o masse di grosse dimensioni. La linfoadenectomia estesa inoltre non pare essere associata né a un aumento di complicanze post-operatorie, né ad un aumento del tempo di ricovero, né ad un aumento di perdite ematiche intraoperatorie. Cosa si intenda per una linfoadenectomia estesa rimane controverso, alcuni considerano che la linfoadenectomia estesa debba comprendere i linfonodi dei grossi vasi renali, i linfonodi interaorto-cavali che vanno dai pilastri diaframmatici fino alle arterie iliache comuni. Un interessamento dei linfonodi interaorto-cavali senza interessamento dei linfonodi ilari è stato riportato nel 35-45% dei casi. Il numero ottimale di linfonodi asportati dovrebbe essere di 15.
Embolizzazione
Eseguire una embolizzazione prima di una nefrectomia non ha mostrato beneficio. In pazienti non idonei alla chirurgia per la presenza di comorbilità, o con masse non resecabili, l’uso dell’ embolizzazione può controllare i sintomi inclusi il dolore al fianco e la macroematuria.
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Tecniche di nefrectomia radicale e nefrectomia parziale
Nefrectomia radicale
Paragonando la NR laparoscopica alla NR open i risultati oncologici sono risultati simili. La NR laparoscopica ha mostrato minori complicanze, minor periodo di ricovero, minor utilizzo di analgesici nel post-operatorio, minori perdite ematiche intra e peri operatorie. Il tempo della procedura è stata inferiore per la NR open. La qualità di vita nel post-operatorio è stata simile per le due procedure. Confrontando i pazienti con tumori superiori ai 7 cm (pari o superiore al pT2) si sono documentate minori perdite di sangue, minor dolore post-operatorio, minor ospedalizzazione nella NR laparoscopica. Le complicanze intra e post-operatorie sono risultate simili nei due gruppi. Non sono state viste significative differenze nella sopravvivenza cancro specifica, nella progressione libera da malattia e nella sopravvivenza globale. Confrontando la NR laparoscopica e la NR open negli stadi pT3a, non si sono viste differenze nei risultati oncologici. Confrontando la NR laparoscopica con la NR robotica, la chirurgia robotica ha mostrato in alcuni studi un maggior tempo nella procedura e più alti costi. Una recente revisioni sistematica della letteratura non ha mostrato differenze tra i due approcci per quanto riguarda le complicanze peri-operatorie, i tempi dell’intervento, le perdite ematiche, i tassi di conversione. L’approccio robotico verso quello laparoscopico tradizionale non ha dimostrato differenze nei tassi di recidiva locale, sopravvivenza globale o nella sopravvivenza cancro specifica.
Nefrectomia parziale
Nefrectomia parziale open versus laparoscopica
Gli studi che confrontano la laparoscopia verso la chirurgia open per la NP non hanno trovato differenze nella sopravvivenza globale o nella sopravvivenza libera da malattia. Le perdite ematiche sono stata inferiore nell’approccio laparoscopico. Le complicanze post-operatorie, tra cui comparsa di trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare sono risultate paragonabili nelle due procedure. Il tempo dell’intervento è stato più lungo in caso di approccio laparoscopico, mentre il tempo di ischemia calda è stato più breve nella chirurgia open. La riduzione della filtrazione glomerulare è stata maggiore nell’approccio laparoscopico nell’immediato post-operatorio ma paragonabile dopo un periodo di 4 anni di follow up.
Nefrectomia parziale open versus robotica
La NP robotica si è mostrata superiore per quanto riguarda le perdite ematiche e la durata del ricovero ospedaliero. Alcuni studi hanno dimostrato un tempo di ischemia calda, un tempo di intervento, tasso di complicanze pre e post-operatorie, variazioni nei livelli di creatinina, positività dei margini chirurgici simili nei due gruppi. Altri studi hanno invece dimostrato come la robotica si associ ad un minor tasso di complicanze, minori trasfusioni e minor periodo di ricovero.
Nefrectomia parziale open versus laparoscopica versus robotica
Sono stati trovati risultati paragonabili in termini di recidive locali, metastasi a distanza, morte correlata al tumore.
Nefrectomia parziale laparoscopica versus robotica
I risultati oncologici e funzionali delle due procedure sono risultati paragonabili. La chirurgia robotica si è dimostrata avere un minor tasso di conversione e un minor tasso di chirurgia radicale di necessità, un minor tempo di ischemia calda, una minor variazione della filtrazione glomerulare, un minor tempo di ricovero. Non sono state viste differenze riguardo le complicanze, riguardo alle modifiche dei livelli di creatinina, nel tempo della procedura, nelle perdite ematiche, nella presenza di margini positivi.
Nefrectomia parziale laparoscopica transperitoneale e retroperitoneale
Non sono state trovate differenze nei tassi di complicanze, di margini positivi, nella variazione della filtrazione glomerulare. Le complicanze intraoperatorie sono state leggermente superiori è il tempo di intervento inferiore nell’approccio transperitoneale rispetto al retroperitoneale.
Volume di interventi
In uno studio di 8.753 pazienti sottoposti a NP si è vista una correlazione tra complicanze legata all’intervento chirurgico e il numero di interventi eseguiti. Un plateau è stato osservato intorno ai 35 - 40 casi trattati per anno considerando le varie tecniche, e 18 - 20 interventi eseguiti per anno di NP robotica. La NP robotica eseguita in centri ad alto volume si è dimostrata avere un tasso di conversione inferiore, un minor tempo di ospedalizzazione e un minor tasso di margini positivi rispetto ai centri con bassi volumi di intervento. Il numero di interventi eseguiti per anno si è mostrato essere in relazione al raggiungimento dei parametri Trifecta (assenza di complicanze, ischemia calda < 20 minuti, margini negativi). In alcuni studi si è visto come un numero di NP per anno superiori a 60 è un fattore predittivo indipendente per la riduzione dei margini positivi.
Embolizzazione preoperatoria nella nefrectomia parziale
L’embolizzazione selettiva si è dimostrata ridurre le perdite ematiche durante nefrectomia parziale.
Margini positivi
Margini positivi dopo NP si incontrano nel 2 - 8% dei casi. L’utilizzo di biopsie intraoperatorie al congelatore non modifica il tasso di margini positivi. La probabilità di margini positivi è maggiore quando la NP viene eseguita di necessità come in caso di tumore in rene singolo, multipli tumori bilaterali o in pazienti con formazioni di grosse dimensioni quali i pT2a/b pT3a grado III e IV. L’effetto negativo della positività dei margini sui risultati oncologici a lungo termine è controverso. La positività dei margini non si è vista tradursi in un elevato rischio di metastasi a distanza o di morte cancro specifica. D’altro canto, altri studi retrospettivi hanno dimostrato come i margini positivi sono un fattore predittivo negativo per la sopravvivenza libera da malattia a causa dell’elevata incidenza di metastasi a distanza e di recidive locali. Uno studio retrospettivo coinvolgente 42.114 NP ha mostrato una percentuale di margini positivi del 6.7%. Il tasso di margini positivi saliva al 14,1% negli stadi pT3a. La presenza dei margini positivi si correlava a una ridotta sopravvivenza globale a 5 anni nei pazienti in stadio pT3a. La comparsa di recidiva locale è stata documentata in circa il 16% dei pazienti che presentavano margini positivi ma anche nel 3% dei pazienti che presentavano margini chirurgici negativi. Un reintervento immediato in caso di margini positivi risulta in un eccesso di trattamento nella maggior parte dei casi. Pazienti con margini chirurgici positivi devono essere sottoposti ad una più intensa sorveglianza con esecuzione di immagini radiologiche più frequenti e devono essere informati del più alto rischio di ulteriori terapie locali. Tuttavia, la presenza di margini negativi non protegge sicuramente dalla comparsa di recidive locali.
Approcci alternativi alla chirurgia
Trattamento chirurgico versus trattamento non chirurgico
La chirurgia (NR o NP), confrontata con un atteggiamento non chirurgico (sorveglianza), in tumori delle dimensioni < 4 cm, ha mostrato una significativa riduzione della mortalità cancro specifica. Tuttavia, vi possono essere dei bias legati alla assegnazione al gruppo di sorveglianza di pazienti più anziani, più fragili, con elevate comorbilità. Un’altra analisi eseguita su pazienti >75 anni non ha mostrato lo stesso beneficio in termini di riduzione della mortalità cancro specifica in caso di trattamento chirurgico.
Sorveglianza attiva e vigile attesa
Pazienti anziani e con elevate comorbilità, nei quali viene ritrovato incidentalmente una massa renale di piccole dimensioni, hanno una mortalità legata al tumore del rene molto bassa poiché spesso presentano altre patologie che possono essere responsabili della loro morte. Si definisce sorveglianza attiva il monitoraggio delle dimensioni della lesione renale attraverso una serie di immagini ecografiche, TC o di Risonanza Magnetica con l’intento di intervenire con un trattamento attivo nel momento in cui la lesione renale mostra una progressione clinica. Il vigile attesa è invece riservato a quei pazienti che per comorbilità hanno una controindicazione a qualsiasi tipo di trattamento attivo e quindi non richiedono un follow-up di imaging, sempre che la clinica non lo suggerisca. Uno studio eseguito su pazienti > 75 anni per tumori in stadio cT1 ha dimostrato una riduzione della sopravvivenza globale per i pazienti che andavano incontro a un programma di sorveglianza e successiva NP in caso di progressione; tuttavia, quando questi dati sono stati aggiustati per età, comorbilità e altre variabili, questa riduzione della sopravvivenza globale in caso di sorveglianza attiva non è stata confermata. In un altro studio non sono state trovate differenze in termini di sopravvivenza globale o sopravvivenza cancro specifica tra la chirurgia (NP o NR) e la sorveglianza attiva per i tumori cT1a. Uno studio prospettico, non randomizzato, multicentrico su 497 pazienti con lesioni renali < 4 cm ha esaminato i pazienti che andavano incontro a sorveglianza attiva o direttamente a trattamento chirurgico. I pazienti sottoposti a sorveglianza attiva sono risultati più anziani, con peggior performance status, maggiori comorbilità, tumori più piccoli, spesso tumori multipli bilaterali. Dei pazienti in sorveglianza attiva la crescita della lesione renale è stata in media di 0,09 cm all’anno con un follow up di 1,83 anni. Nessun paziente ha sviluppato metastasi a distanza o è morto a causa del tumore del rene. La sopravvivenza globale ai 2 anni è stata del 98% per i pazienti sottoposti a chirurgia del 96% per i pazienti sottoposti a sorveglianza attiva. Ai 5 anni la sopravvivenza globale è stata del 92% per la chirurgia è del 75% per la sorveglianza attiva. A 5 anni la sopravvivenza cancro specifica è stata del 99% per la chirurgia è del 100% per la sorveglianza attiva. In generale, dal punto di vista oncologico, una sorveglianza attiva con follow-up breve o a medio termine è indicato in pazienti selezionati con età avanzata, importanti comorbilità, piccole masse renali, eventualmente seguita da un trattamento attivo in caso di progressione. Uno studio multicentrico ha paragonato la qualità della vita di pazienti che venivano sottoposti direttamente a chirurgia, contro quelli che venivano avviati a sorveglianza attiva, i pazienti che facevano l’intervento hanno dimostrato una migliore qualità della vita. Su 136 biopsie eseguite su masse renali di piccole dimensioni (<4 cm) risultate positive per RCC e sottoposte a sorveglianza attiva con una media di follow-up di 6 anni, il carcinoma a cellule chiare si è dimostrato crescere più rapidamente del carcinoma papillare di tipo I (0,25 cm all’anno contro 0,02 cm all’anno). Il 44% delle masse ha mostrato una progressione di cui l’82% ha raddoppiando il volume, il 12% ha superando le dimensioni di 4 cm, sei pazienti hanno sviluppato metastasi, di questi tutti erano RCC a cellule chiare.
Ruolo della biopsia renale prima della sorveglianza attiva
La caratterizzazione istologica delle piccole masse renali attraverso la biopsia è utile per selezionare i tumori a basso rischio di progressione (in base al tipo istologico e al grado istologico) che possono essere avviati in maniera sicura verso la sorveglianza attiva.
Terapia ablativa focale
Ruolo della biopsia renale
Prima di procedere a una terapia focale è necessario eseguire una biopsia della massa renale. Si è visto che fino al 45% dei pazienti sono sottoposti a una terapia focale per lesioni benigne o con istologico non determinato. L’utilizzo della biopsia delle masse renali riduce l’over-treatment poiché fino all’80% dei pazienti con lesioni benigne possono optare per non eseguire una terapia focale. L’esito di una terapia focale dipende dal tipo di RCC che viene trattato. In una serie di 229 pazienti con tumore in stadio cT1a trattati con radiofrequenza la sopravvivenza libera da malattia è stata del 90% per il carcinoma a cellule chiare e del 100% per il carcinoma cellule papillari. In uno studio che paragonava la radiofrequenza versus la chirurgia, i risultati peggiori si sono riscontrati nel gruppo di pazienti sottoposti a radiofrequenza rispetto alla NP per tumori cT1b a cellule chiare, mentre non si sono viste differenze quando l’istologia era diversa da quella a cellule chiare. Pazienti con RCC di alto grado o metastatici posso scegliere un trattamento diverso rispetto alla terapia focale. Infine, pazienti che non hanno eseguito la biopsia renale o che hanno eseguito una biopsia non diagnostica vengo spesso considerati affetti da RCC e vanno incontro frequentemente a follow-up radiologici o ad ulteriori trattamenti potenzialmente non necessari.
Crioablazione
La crioablazione può essere eseguita sia per via percutanea che laparoscopica. Non sono state trovate differenze in relazione al tasso di complicanze tra la via laparoscopica e la via percutanea. Una più breve ospedalizzazione è stata riscontrata utilizzando la via per cutanea. I risultati oncologici dopo crioablazione sono stati in genere favorevoli per lo stadio cT1a. Le recidive locali sono state viste nel 7,7% per i tumori cT1a e nel 34,5% per i tumori cT1b. Per i tumori in stadio cT1b il controllo locale della malattia cala drasticamente, in uno studio si è documentato un controllo locale della malattia in questo stadio soltanto nel 60,3% in tre anni. Nello stadio cT1b trattato con crioablazione si è calcolato un rischio di morte legato al tumore di 2,5 volte superiore rispetto ai pazienti trattati con NP. Le recidive dopo la crioablazione sono spesso trattate con una nuova crioablazione, il 45% dei pazienti in genere rimane libero da malattia a due anni.
Radiofrequenza
La radiofrequenza (radiofrequency ablation > RFA) viene eseguita sia per via laparoscopica che per via percutanea. Complicanze possono comparire fino al 29% dei pazienti trattati, la maggior parte sono comunque minori. Il tasso di complicanze, il tasso di recidive, e la sopravvivenza cancro specifica sono risultate simili nei pazienti trattati laparoscopicamente o per via percutanea. Il tasso di successo iniziale, dopo un mese, è del 94% nello stadio cT1a e dell’81% nello stadio cT1b. Si possono raggiungere dei tassi di successo superiore al 95% con uno o più sedute di radiofrequenza. A 10 anni si è riscontrata una sopravvivenza libera da malattia dell’82% dei casi che cala drasticamente al 68% per tumori delle dimensioni > 3 cm. Per i tumori in stadio cT1b la sopravvivenza libera da malattia a 5 anni è stata tra il 74.5 e l’81%. I risultati oncologici appaiono peggiori rispetto alla chirurgia.
Terapia focale versus chirurgia
Facendo una revisione sistematica della letteratura che paragoni la terapia focale con la NP per tumori in stadio cT1N0M0 la terapia focale si è mostrata essere sicura in termini di complicanze e di eventi avversi ma i risultati oncologici paragonati con la NP rimangono incerti. La maggior parte degli studi sono retrospettivi, osservazionali, senza un braccio di controllo, e con breve follow-up. A causa di queste incertezze, soprattutto legate agli esiti oncologici, la terapia focale viene raccomandata solo ed esclusivamente nei pazienti fragili, con elevate comorbilità, e con piccole masse renali.
Radioterapia stereotassica
La radioterapia stereotassica (stereotactic ablative radiotherapy > SABR) è emersa come possibile opzione terapeutica in pazienti inoperabili e con malattie localizzate in stadio cT1a e cT1b.
Altre tecniche ablative
Altre tecniche di ablazione focale sono l’uso di microonde (MWA), l’HIFU, l’elettroporazione irreversibile non termica.
Trattamento delle recidive locali dopo nefrectomia parziale
Le recidive locali dopo NP sono rare, la loro frequenza dipende dalla dimensione della lesione asportata e dalla positività dei margini. Nei tumori cT2 con margini positivi (PSM) si raggiunge una percentuale di recidive locali del 16%, in caso di margini negativi (NSM) siamo sul 3%. Considerando tutti gli stadi, in caso di PSM, il rischio di recidive locali aumenterebbe di 6 volte, tuttavia i dati non sono univoci.
Le linee guida danno una prevalenza del < 2% di recidive locali dopo PN. Un trattamento locale (chirurgico o percutaneo) si dovrà considerare in caso di assenza di progressione sistemica di malattia, in assenza di fattori prognostici avversi, e in caso di buon performance status (PS). Non è fino ad oggi chiara la migliore modalità di trattamento. La raccomandazione è di offrire un trattamento locale della recidiva quando tecnicamente possibile, dopo un bilancio dei fattori prognostici avversi, comorbilità, e dopo valutazione dell’aspettativa di vita.
La recidiva locale può essere presente dopo
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nefrectomia parziale
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terapia ablativa focale
È stata proposta una classificazione delle recidive dopo NP in tre differenti tipi, importante sia dal punto di vista prognostico che per decisioni cliniche successive:
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A. recidiva dopo resezione incompleta del tumore primitivo
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B. recidiva per diffusione locale del tumore mediante embolizzazione microvascolare
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C. Multifocalità
A. La recidiva appare alla TC come una massa che prende contrasto in vicinanza del letto di resezione e delle clip/sutura della nefrectomia parziale; alla analisi macroscopica del pezzo da massa appare aderente ai punti di sutura del precedente intervento; all’istologico le cellule neoplastiche sono mischiate alle cellule del granuloma dovuto alla sutura
B. La recidiva appare vicina al tessuto denso della sutura; dal punto di vista macroscopico le cellule tumorali non sono incluse nel granuloma della sutura; dal punto di vista istologico ci sono segni di embolizzazione microvascolare
C. La recidiva è ipsilaterale ma lontana dalla cicatrice della sutura; anche dal punto di vista macroscopico vi è lontananza tra recidiva e sito della precedente resezione; all’istologico la cicatrice del precedente intervento e libera da cellule tumorali.
La storia naturale della recidiva locale si correla con la classificazione vista. Nel tipo A e B l’evoluzione della malattia è rapida con maggior mortalità cancro specifica, il tipo C si correla con una migliore sopravvivenza.
Questi sono i fattori prognostici avversi di cui dicevamo:
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Breve intervallo tra trattamento primitivo della lesione e recidiva (< 3-12 mesi) spesso si associa ad una progressione sistemica della malattia
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Differenziazione sarcomatoide della recidiva (è indicata sempre la biopsia delle recidive)
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Resezione chirurgica incompleta (tipo A)
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Diffusione locale del tumore mediante embolizzazione microvascolare (tipo B)
Che trattamento dopo nefrectomia parziale?
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Chirurgia (parziale o radicale)
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RT o SBRT
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Terapia focale (RFA o MWA o crioterapia)
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Terapia medica sistemica (quando la recidiva locale è associata ad una progressione sistemica)
Il miglior trattamento non è stato fino ad ora individuato.
Riassumendo:
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Le recidive locali dopo nefrectomia parziale sono rare (< 2%)
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Possono essere legate a:
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Resezione incompleta del tumore primario
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Diffusione locale mediante embolizzazione microvascolare
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Multifocalità
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Un trattamento va considerato quando
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Tecnicamente possibile
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In assenza di progressione sistemica
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In assenza di fattori prognostici negativi
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Se buon PS e aspettativa di vita
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Trattamento del RCC localmente avanzato
Ruolo della linfoadenectomia nel RCC localmente avanzato
Nel RCC localmente avanzato il ruolo della linfadenectomia è ancora controversa. L’unico trial randomizzato e controllato non ha dimostra un beneficio in termini di sopravvivenza nei pazienti che venivano sottoposti a linfoadenectomia. Bhindi et al. non hanno confermato nessun beneficio in termini di sopravvivenza nei pazienti ad alto rischio trattati con linfadenectomia. Luo et al. Recentemente ha riportato una revisione sistematica della letteratura dimostrando un beneficio in termini di sopravvivenza nei pazienti con malattia localmente avanzata trattati con linfadenectomia. Nei pazienti in stadio cT3 e cT4 la linfadenectomia ha mostrato una miglior sopravvivenza globale nei pazienti sottoposti a linfadenectomia paragonati a quelli non sottoposti a linfadenectomia.
Trattamento dei pazienti con linfonodi clinicamente negativi in RCC localmente avanzato
Nei pazienti con RCC localmente avanzato con linfonodi clinicamente negativi la probabilità di trovare dei linfonodi patologicamente positivi dopo chirurgia va dallo 0 - 25%. In caso di linfonodi clinicamente negativi all’ imaging la rimozione dei linfonodi è giustificata soltanto in caso vi sia il riscontro di positività intraoperatoria. Il beneficio della linfadenectomia è sicuramente in termini accurata stadiazione, valutazione della prognosi e implicazioni relative al follow-up sebbene un beneficio in termini di controllo della malattia non è stato sicuramente dimostrato.
Trattamento dei pazienti con linfonodi clinicamente positivi in RCC localmente avanzato
In caso di linfonodi clinicamente positivi la probabilità di confermare tale positività dopo chirurgia va dal 10% al 54%. La rimozione dei linfonodi clinicamente positivi durante l’intervento chirurgico è sempre giustificata almeno in termini di stadiazione, valutazione della prognosi e implicazioni relative al follow-up sebbene un beneficio in termini di controllo della malattia non è stato sicuramente dimostrato.
Trattamento del carcinoma a cellule renali localmente avanzato non operabile
In caso di malattia localmente avanzata non chirurgicamente aggredibile è necessaria una valutazione multidisciplinare che comprenda l’Urologo l’Oncologo, il Radioterapista allo scopo di controllare non solo la malattia ma i sintomi quali il dolore l’ematuria e avviare una terapia di supporto. Nei pazienti con massa non resecabile l’embolizzazione può essere utile per controllare i sintomi quali il dolore al fianco e la ematuria.
Il trattamento del carcinoma a cellule renali con trombosi venosa
La formazione di trombosi venosa nel RCC è un fattore prognostico sicuramente avverso. I pazienti con trombosi venosa vengono sottoposti a NR e asportazione del trombo. Una chirurgia aggressiva è ampiamente accettata come trattamento per i pazienti con trombosi venosa (sebbene nei pazienti con cT3a una NP se fattibile può essere presa in considerazione). La presenza di trombosi venosa non si è vista associata ha una disseminazione del tumore a livello linfonodale o perirenale ne alla presenza di metastasi a distanza. Pertanto, tutti i pazienti non metastatici con trombosi venosa e buon performance status devono essere considerati per un trattamento chirurgico a prescindere dall’estensione del trombo neoplastico. L’utilità dei filtri cavalli non è stata dimostrata.
Trattamenti adiuvante e neoadiuvante
La terapia neoadiuvante è attualmente oggetto di studio. Non vi sono finora evidenze che dimostrino come la radioterapia adiuvante aumenti la sopravvivenza. Non vi sono finora dati che giustifichino l’utilizzo degli inibitori della neoangiogenesi (VEGFR-TKIs) nei pazienti operati di RCC ad alto rischio. L’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) non ha approvato il Sunitinib come trattamento adiuvante nei pazienti ad alto rischio per RCC dopo nefrectomia. Lo studio Keynote-564 è l’unico studio che ha dimostrato un vantaggio in termini di sopravvivenza libera da malattia. Questo studio prende in considerazione il Pembrolizumab che fa parte degli inibitori dei checkpoint immunitari (immune check point inhibitors ICI). Lo studio ha confrontato il Pembrolizumab versus placebo in pazienti definiti a rischio intermedio e alto di recidiva* di recidiva, con un follow-up di 24.1 mesi. Si è dimostrata una sopravvivenza libera da malattia significativamente migliore nel gruppo trattato con pembrolizumab a 24 mesi (la sopravvivenza libera da malattia è stata del 77% nel gruppo Pembrolizumab versus 68% nel gruppo placebo). La sopravvivenza globale non ha mostrato invece una differenza statisticamente significativa; gli eventi avversi di grado 3 - 5 sono comparsi nel 32% del gruppo Pembrolizumab e nel 18% del gruppo placebo. La qualità di vita non ha mostrato una differenza significativa tra il gruppo sottoposto a terapia con Pembrolizumab o placebo. Si è raggiunta quindi una debole raccomandazione sull’utilizzo del Pembrolizumab in terapia adiuvante nei pazienti che presentano le caratteristiche riportate in questo specifico studio
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alto rischio
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pT4, qualsiasi grado, N0, M0
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Qualsiasi pT e grado N+, M0
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M1 resecato (neoplasia resecata, quindi paziente NED > no evidence of disease) ≦ 12 mesi dalla nefrectomia
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Rischio intermedio
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pT2, grado 4 (sarcomatoide),N0, M0
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pT3, qualsiasi grado N0, M0
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Trattamento del carcinoma a cellule renali avanzato/metastatico
Nefrectomia citoriduttiva
La resezione del tumore primitivo è potenzialmente curativa soltanto se tutte le sedi di metastasi possono essere e resecate. Nella maggior parte dei pazienti metastatici la nefrectomia citoriduttiva (NC)è soltanto un intervento palliativa poiché un trattamento sistemico è comunque necessario. In passato (parliamo del 2001) sono usciti degli studi che dimostravano come la NC seguita dalla terapia con interferone dava un vantaggio in termini di sopravvivenza rispetto all’utilizzo della sola terapia con interferone. Tuttavia, oggigiorno la terapia con interferone non ha nessuna rilevanza clinica pertanto il ruolo della NC nel paziente metastatico deve essere rivalutata alla luce delle nuove opzioni terapeutiche in mano all’oncologo. Lo studio CARMENA ha paragonato la NC seguita dalla terapia con Sunitinib versus il solo utilizzo del Sunitinib dimostrando come il solo utilizzo del Sunitinib non si è dimostrato inferiore in termini di sopravvivenza globale. I pazienti inclusi nello studio erano 450 con rischio intermedio e alto secondo il MSKCC (Memorial Sloan Kettering Cancer Center). Dopo un follow up medio di 50,9 mesi la sopravvivenza globale è stata di 13,9 mesi nel gruppo NC seguita dal Sunitinib contro 18,4 mesi del gruppo con solo Sunitinib. In caso di MSKCC intermedio la sopravvivenza globale è stata di 19 mesi per il gruppo con NC seguito da Sunitinib contro 23 mesi del gruppo con solo Sunitinib. Nei pazienti ad alto rischio secondo il MSKCC la sopravvivenza globale è stata di 12,2 mesi per la NC seguita da Sunitinib e 13,3 mesi nel gruppo con solo Sunitinib. Il beneficio clinico, definito come percentuale di pazienti con risposta completa, parziale o malattia stabile per più di 12 settimane è stato del 36,6% nei pazienti con NC + Sunitinib e del 47,9% nel gruppo con solo Sunitinib. Nel braccio del solo sunitinib 38 pazienti sono comunque andati incontro a NC a causa di sintomi acuti o successivamente a una completa o parziale remissione della malattia. Un altro studio, il SURTIME, ha analizzato la sequenza tra NC e Sunitinib dimostrando come la sopravvivenza globale è andata a favore di una NC ritardata, preceduta dalla terapia con Sunitinib. Ritardare la NC dopo Sunitinib permette di selezionare i pazienti che realmente beneficerebbe di una chirurgia poiché, se i pazienti non rispondono alla terapia con Sunitinib, probabilmente hanno bisogno di non ritardare una seconda linea di terapia oncologica con un intervento citoriduttivo poiché presentano una malattia aggressiva. Nei pazienti con scarso performance status, alto rischio IMDC (International Metastatic Renal Cancer Database Consortium) alto volume di metastasi e tumore con aspetto sarcomatoide la NC non è raccomandata. Il trattamento dei pazienti metastatici, tuttavia, è in divenire alla luce degli ottimi risultati ottenuti con gli inibitori dei checkpoint immunitari (ICI). Alcuni studi dimostrano come gli ICI (da sola o in combinazione) utilizzati prima della NC diano migliori risultati rispetto al Sunitinib in monoterapia. In studi recenti si è dimostrato come pazienti metastatici che non richiedevano un immediato trattamento oncologico avevano una migliore sopravvivenza globale quando sottoposti a NC. Tuttavia, sia lo studio CARMENA che lo studio SURTIME hanno dimostrato come pazienti che necessitavano di una terapia sistemica, beneficiano di questa immediatamente, prima di essere sottoposti a una NC. Gli studi randomizzati per accertare l’efficacia di una NC successiva ad una ICI (da sola o in combinazione) rispetto a non eseguire la NC non sono ancora disponibili. I risultati iniziali dimostrano tuttavia come l’utilizzo degli ICI diano un effetto superiore sul tumore primitivo e sulle metastasi, quando vengono paragonate all’utilizzo del solo Sunitinib. In concordanza con i risultati ottenuti dagli studi CARMENA e SURTIME, nei pazienti metastatici da RCC con un IMDC a rischio intermedio o alto, vi dovrebbe essere prima di tutto una terapia con ICI (da sola o in combinazione) e, in caso di una risposta clinica, i pazienti dovrebbero poi essere sottoposti a una NC.
Embolizzazione del tumore primario
In pazienti non idonei alla chirurgia o con malattia non resecabile l’embolizzazione può essere utilizzata per il controllo dei sintomi quali dolore al fianco ed ematuria.
Terapia locale delle metastasi da carcinoma a cellule renali
Asportazione delle metastasi completa/incompleta/non asportazione
Una revisione sistematica della letteratura compara l’asportazione completa delle metastasi verso la mancata asportazione delle metastasi verso una incompleta asportazione delle metastasi in vari organi, nel RCC. Su 8 studi 6 hanno riportato una miglior sopravvivenza globale e cancro specifica successiva alla asportazione completa delle metastasi (40,75 mesi in caso di completa asportazione delle metastasi contro 14,8 mesi in caso di una incompleta o assente asportazione delle metastasi). Tre studi hanno paragonato l’asportazione delle metastasi in polmoni, fegato e pancreas rispettivamente riportando una miglior sopravvivenza globale in caso di asportazione delle metastasi, quando questa veniva paragonata alla sola terapia oncologica.
Terapia locale per le metastasi ossee
Buoni risultati si sono avuti nel trattamento delle metastasi ossee con varie tecniche di radioterapia o con metodiche chirurgiche di asportazione delle metastasi, curettage locale e stabilizzazione ossea.
Terapia locale per le metastasi cerebrali
Anche per le metastasi cerebrali le tecniche a disposizione sono la radioterapia e l’intervento chirurgico di asportazione delle metastasi.
Embolizzazione delle metastasi
L’embolizzazione delle metastasi prima della loro resezione, soprattutto quando sono presenti lesioni ossee o spinali ipervascolarizzate, può ridurre le perdite ematiche intraoperatorie. Nei pazienti selezionati, con dolore osseo o metastasi paravertebrali, l’embolizzazione può migliorare i sintomi dolorosi.
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Trattamento adiuvante nei pazienti cM0 domo metastasectomia
Pazienti sottoposti a metastasectomia senza più evidenza di malattia (cM0) hanno tuttavia un elevato rischio di recidiva. La comparsa di una recidiva metacrona in un periodo inferiore ad un anno dopo asportazione di una precedente metastasi è un fattore prognostico negativo nella classificazione IMDC. I risultati con l’utilizzo del Pembrolizumab ha dimostrato una migliore sopravvivenza libera da malattia dopo chirurgia di lesioni metastatiche o in pazienti NED (no evidence of disease) cioè senza evidenza di malattia. Tuttavia, i dati attualmente a disposizione non possono concludere che pazienti oligometastatici, con comparsa di metastasi nel primo anno dopo precedente metastasectomia, abbiano un reale vantaggio nell’utilizzo della metastasectomia seguita dal Pembrolizumab piuttosto che essere sottoposti a un periodo di osservazione e successivamente sottoposti a immunoterapia oncologica nel momento della progressione. Infatti, pazienti oligo metastatici potrebbero essere osservati per un periodo di tempo fino a 16 mesi prima di iniziare una terapia sistemica. È possibile che la asportazione delle metastasi in pazienti che presentano recidiva entro il primo anno da una precedente asportazione di metastasi, possono avere un outcomes oncologico peggiore paragonati ai pazienti sottoporsi a terapia oncologica sistemica, soprattutto nei pazienti con gruppo di rischio intermedio IMDC. Pertanto, non viene incoraggiato l’uso della metastasectomia e successivo Pembrolizumab in questo gruppo di pazienti. Una ripresa di malattia entro un anno da una metastasectomia deve essere accompagnata ad un’attenta rivalutazione per escludere una rapida progressione della malattia.
Terapia sistemica nel carcinoma renale avanzato/metastatico
Non essendo un Oncologo non tratterò il capitolo della terapia oncologica del carcinoma a cellule renali
Chemioterapia
La chemioterapia non è in genere consigliata tranne nel carcinoma della midollare o dei dotti collettori.
Terapia target
La terapia target, che blocca la neoangiogenesi delle metastasi, si è mostrata utile nell’RCC a cellule chiare, pertanto, il suo utilizzo non è raccomandato nelle altre forme di RCC. Tra gli agenti di uesto gruppo ricordiamo:
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inibitori delle tirosino chinasi: Sorafenib, Sunitinib, Pazopanib, Axitinib, Cabozantinib, Lenvatinib, Tivozanib,
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anticorpi monoclonali VEGF: Bevacizumab
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inibitori mTOR: temsirolimus, Everolimus
Immunoterapia (ICI > immune checkpoint inhibitors)
I checkpoint sono proteine poste sulla superfice delle cellule tumorali o di alcune cellule del sistema immunitario, quando queste proteine si legano le cellule si “riconoscono” e non si ha uma eliminazione della cellula tumorale. Ad esempio la proteina PD1 è situata sulla superfice delle cellule T mentre la proteina PD-L1 sulla cellula tumorale. Se queste due proteine si legano tra loro il linfocita T non uccide la cellula tumorale, ma se si utilizza un inibitore dei checkpoints (es. Nivolumab anticorpo che lega la proteina PD1) il linfocita T non riconosce più la cellula tumorale e la uccide. In altri casi le Antigen Presenting Cell (APC) presentano porzioni della cellula tumorale alle cellule T (al TCR > T-cell receptor) mediante il complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Tuttavvia se la proteina di superfice del linfocita T (la CTLA-4) si lega alla proteina di superfice della APC (B7-1/B7-2) il linfocita non scatena nessuna reazione contro le cellule tumorali, ma se usiamo un anticorpo anti CTLA-4 (es. Ipilimumab) il linfocita T sarà capace di attivarsi e distruggere la cellula tumorale. Tra i farmaci ICI ricordiamo: Nivolumab (inibitore PD1), Pembrolizumab ( inibitore PD1), Ipilimumab (inibitore CTLA-4).
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Trattamento dei pazienti con tumori rari
Carcinoma renale della midollare
Il carcinoma della midollare è uno dei più aggressivi RCC La maggior parte dei pazienti (circa il 67%) si presenta metastatico già alla diagnosi. Anche pazienti che apparentemente si presentano con una malattia localizzata svilupperanno metastasi nel giro di poche settimane. Nonostante il trattamento la sopravvivenza globale è di 13 mesi. La nefrectomia radicale viene considerata migliore come trattamento rispetto alla nefrectomia parziale anche negli stadi precoci di malattia. La Nefrectomia, anche nelle forme localizzate, risulta in una maggior sopravvivenza globale quando viene paragonata alla sola chemioterapia sistemica. Non vi è fino ad ora una valutazione sul ruolo della nefrectomia in presenza di metastasi come pure non è chiaro il ruolo dell’asportazione delle metastasi nella prognosi della malattia. Il carcinoma della midollare risulta resistente alla terapia target. Pertanto, la terapia oncologica non è ben definita, appaiono promettenti i farmaci ICI sebbene i dati siano ancora scarsi. I pazienti con carcinoma della midollare dovrebbero possibilmente essere arruolati in trial clinici soprattutto dopo il fallimento di una prima linea di chemioterapia.
Trattamento del carcinoma a cellule renali ereditari
Trattamento del carcinoma a cellule renali associato alla malattia di Von-Hippel-Lindau
I pazienti con la sindrome di Von-Hippel-Lindau spesso sviluppano RCC associati a tumori in altre sedi come il sistema nervoso centrale, angiomioblastoma retinico, tumori pancreatici e spesso vanno incontro a vari interventi chirurgici durante la loro vita. Il farmaco Belzutifan è stato approvato per il trattamento del carcinoma a cellule renali e altre neoplasie che si presentano associate alla sindrome di Von-Hippel-Lindau che non richiedano chirurgia. Gli studi che hanno portato all’approvazione del farmaco sono stati eseguiti su pazienti con tumori renali delle dimensioni intorno ai 3 cm.
Follow-up nel carcinoma a cellule renali
Introduzione
La sorveglianza nel trattamento del RCC permette di evidenziare: le complicanze post operatorie, valutare la funzionalità renale, evidenziale recidive locali, evidenziale le recidive nel rene controlaterale, evidenziare metastasi a distanza, evidenziare problematiche cardiovascolari. Non esiste un consenso internazionale sulle modalità con cui eseguire il follow-up dopo trattamento del RCC. Alcuni dati mettono in evidenza come una maggior frequenza dei controlli mediante imaging non porta necessariamente ad un incremento della sopravvivenza in seguito al riscontro di recidive precoci. Pertanto, una domanda fondamentale è se un intervento precoce, dopo il riscontro di una recidiva durante il follow-up, porterà ad un miglioramento nella sopravvivenza di questi pazienti. Contrariamente ai tumori localmente avanzati e di alto grado, i risultati di trattamenti su recidive dopo chirurgia per stadi pT1a di basso grado sono quasi sempre eccellenti. Risulta pertanto ragionevole stratificare il follow-up prendendo in considerazione il rischio di ogni singolo paziente nello sviluppare metastasi locale o a distanza. Quello che è stato visto è come pazienti sottoposti ad una sorveglianza ben strutturata hanno un beneficio in termini di sopravvivenza maggiore rispetto ai pazienti che non vengono sottoposti a protocolli di sorveglianza definiti. I protocolli di sorveglianza dovrebbero prendere in considerazione vari fattori, tra cui lo stadio patologico della malattia, l’età del paziente ma anche la presenza di recidivi locali o a distanza, le comorbilità al fine di calcolare il rischio di morte legato al RCC e il rischio di morte legato ad altre cause. Il comprendere la probabilità che il paziente ha di morire a causa del RCC o per altre causa ci aiuta a definire le modalità e le tempistiche del follow-up. Ad esempio, i pazienti a basso rischio di malattia ma con Charlson score pari o superiore a 2 hanno un rischio di morire per cause non legate al RCC superiore a quelle di morire a causa del RCC già dopo un mese dalla chirurgia. In generale i pazienti a basso rischio hanno maggior probabilità di morire per altre cause che non siano il RCC poco tempo dopo la chirurgia Per i pazienti a rischio intermedio si considerato i 5 anni, tempo oltre il quale il rischio di morire per altre cause è maggiore di quello di morire per RCC. Nei pazienti ad alto rischio la possibilità di recidive continua ad esistere per lungo tempo e la probabilità di morire a causa di RCC rimane superiore a quello di morire per altre cause per lungo tempo. In futuro il profilo genetico aiuterà a migliorare la definizione di programmi di folow-up. La recidiva dopo nefrectomia parziale è rara ma una diagnosi precoce è importante per un rapido trattamento. Una recidiva nel rene controlaterale è un evento raro ma può comparire nell’1 - 2% dei casi con un tempo medio di 5 -6 anni dall’intervento. Un corretto follow-up può identificare la comparsa di metastasi in una fase precoce, se la diagnosi è precoce e la crescita non è eccessiva si può considerare l’intervento chirurgico con l’obiettivo di rendere il paziente libero da metastasi, se invece la massa cresce in maniera particolarmente rapida la chirurgia non è più possibile e si valuterà l’opzione terapia oncologica. Una diagnosi precoce è quindi importante anche in casi di metastasi non resecabili con lo scopo di iniziare precocemente una terapia efficace di tipo oncologico.
Quali tecniche di imaging e quando eseguirle
L’utilizzo dell’ecografia e della Rx del torace è poco efficace nell’evidenziare la comparsa di metastasi. Pertanto, il follow-up viene eseguito con maggiore efficacia utilizzando la TC torace e addome. L’uso della PET-TC e della scintigrafia ossea non dovrebbe essere utilizzato routinariamente nel follow-up del RCC a causa della limitata specificità e sensibilità. La sorveglianza dopo chirurgia del rene dovrebbe comprendere sempre una valutazione della funzione renale e della funzione cardiovascolare. Pertanto, il follow-up dovrebbe comprendere l’esecuzione di TC torace e addome e l’esecuzione della Risonanza Magnetica cerebrale in caso di presenza di sintomi. Nessun accordo esiste in relazione a quanto deve durare il follow-up. Alcuni autori dicono che un follow up oltre 5 anni con tecniche di imaging non è economicamente vantaggioso, tuttavia metastasi tardiva possono comparire anche dopo tale periodo. Ricordiamo infatti la possibilità della comparsa dei tumori nel rene controlaterale anche dopo 5 - 6 anni dall’intervento. Alcuni autori hanno sviluppato un nomogramma per quantificare la probabilità che un paziente sviluppi recidive locali o metastasi a distanza o che vado incontro a morte, definendo su questa probabilità un programma di controlli. In un algoritmo di follow-up per pazienti sottoposti a chirurgia per RCC è importante prendere in considerazione non soltanto i fattori di rischio della malattia ma anche l’efficacia delle terapie a disposizione, l’aspettativa di vita del paziente basata sulla presenza di comorbidità, l’età del paziente, anche per valutare la durata del follow-up.
Schema di follow-up per pazienti sottoposti a trattamento chirurgico (NR o NP) nel RCC localizzato, prendendo in considerazione i fattori di rischio di ricorrenza e l’efficacia della terapia
Basso rischio di recidive
Per RCC a cellule chiare (Leibovich score 0 – 2)
Per RCC non a cellule chiare (pT1a - pT1b, pNx -pN0, M0, grado istologico 1 - 2)
TC torace/addome (o Risonanza Magnetica) + controllo funzionalità renale e cardiovascolare a 6 – 18 – 30 mesi e a 3 anni.
Dopo i 3 anni TC torace/addome (o Risonanza Magnetica) ogni 2 anni. Discutere con il paziente l’interruzione del follow-up oncologico in base all’età, comorbilità, aspettativa di vita e desideri del paziente, proseguire monitoraggio funzionalità renale e cardiovascolare.
Rischio intermedio di recidive
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Per RCC a cellule chiare (Leibovich score 3 – 5)
Per RCC non a cellule chiare (pT1b, pNx -pN0, e/o grado istologico 3 - 4)
TC torace/addome (o Risonanza Magnetica) + controllo funzionalità renale e cardiovascolare a 6 – 12 - 24 – 36 mesi e a 3 anni. Dopo i 3 anni TC torace/addome (o Risonanza Magnetica) ogni anno. Dopo i 5 anni TC torace/addome (o Risonanza Magnetica) ogni 2 anni.
Dopo i 5 anni discutere con il paziente l’interruzione del follow-up oncologico in base all’età, comorbilità, aspettativa di vita e desideri del paziente, proseguire monitoraggio funzionalità renale e cardiovascolare.
Alto rischio di recidive
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Per RCC a cellule chiare (Leibovich score pari o superiore a 6)
Per RCC non a cellule chiare (pT2 – pT4 con qualsiasi grado, o qualsiasi pT, pN1 cM0 con qualsiasi grado)
TC torace/addome (o Risonanza Magnetica) + controllo funzionalità renale e cardiovascolare a 3 - 6 – 12 - 18 -24- – 36 mesi e a 3 anni. Dopo i 3 anni TC torace/addome (o Risonanza Magnetica) ogni anno. Dopo i 5 anni TC torace/addome (o Risonanza Magnetica) ogni 2 anni.
Dopo i 5 anni discutere con il paziente l’interruzione del follow-up oncologico in base all’età, comorbilità, aspettativa di vita e desideri del paziente, proseguire monitoraggio funzionalità renale e cardiovascolare.
Incrementare il follow-up nei pazienti con NP pT2 o superiore e nei pazienti con margini chirurgici positivi.
Leibovich score
Stadio T Punteggio
pT1a 0
pT1b 2
pT2 3
pT3a 4
pT3b 4
pT3c 4
pT4 4
Stadio N
pNx 0
pN0 0
pN1 2
Dimensioni del tumore (cm)
Meno di 10 cm 0
Maggiore o uguale a 10 cm 1
Grado
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0
-
0
-
1
-
3
Gruppi di rischio
Basso 0-2
Intermedio 3 – 5
Alto pari o maggiore a 6